La furia di Maigret




Le inchieste di Maigret (35)
È la seconda estate che Maigret passa nella sua casa di Meung-sur-Loire. È in pensione. Ronzio di mosche nella canicola. Una sedia a sdraio all’ombra, la signora Maigret che sgrana i piselli. La felicità, no? Forse. Diciamolo: Maigret si annoia. Perché mai, altrimenti, accetterebbe con tanta prontezza di indagare per conto di una imperiosa e anziana signora che gli piomba improvvisamente in casa? D’accordo, è difficile rifiutare qualcosa a Bernadette Amorelle. È abituata a comandare, gli Amorelle sono ricchi e potenti. Sua nipote è misteriosamente annegata, e lei, che odia il genero e disprezza la figlia, vuole vederci chiaro. Ma la vera ragione è un’altra. Maigret è ansioso di mettersi alla prova. Corre seri rischi, questa volta. Perché è solo. Perché l’ambiente in cui si trova d’improvviso catapultato non è il suo: ville imponenti sulla Senna, giardinieri, campi da tennis, barche, auto tirate a lucido. E gente altezzosa, gelidamente condiscendente. Come il genero di Bernadette, che è anche un vecchio compagno di scuola di Maigret. O esangue e assente come sua moglie. Gente marcia, minacciosa, infettata dall’avidità. Ma proprio per questo capace di scatenare la furia di Maigret, i suoi fantasmi di figlio dell’intendente dei Saint-Fiacre, il suo desiderio di portare alla luce quel che si cela dietro la facciata – il cuore sordido e deprimente della natura umana.
Scritto a Parigi, in rue de Turenne, nel giugno del 1945, Maigret se fâche fu pubblicato due anni più tardi.

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